Amazzonia, un uso sostenibile della terra è possibile

Amazzonia, un uso sostenibile della terra è possibile

Intervista a Pino Ninfa, autore e curatore della mostra fotografica "Amazzonia. Una storia da raccontare", fino al 21 gennaio 2024 al Museo di Scienze e Archeologia di Rovereto

Si legge in 5 minuti: il tempo di un caffé americano!

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Il Museo di Scienze e Archeologia di Rovereto ospita la mostra fotografica "Amazzonia. Una storia da raccontare", fino al 21 gennaio 2024. La storia che sta dietro a queste meravigliose immagini la descrive in questa intervista proprio Pino Ninfa, autore e curatore dell'esposizione, noto fotografo internazionale da anni impegnato in progetti legati al reportage antropologico e sociale e alla salvaguardia dell'ambiente.

Come nasce l'idea di questo percorso fotografico?

La mostra è frutto di alcuni viaggi, tre in particolare, che ho compiuto in Amazzonia. Erano dedicati a progetti collegati alla biodiversità, ma anche alla possibilità di raccontare la virtuosità di un frutto come la noce brasiliana: un simbolo di resistenza alle azioni di incuria da parte dell'uomo con riferimento agli incendi che attua nella foresta, e anche simbolo economico, perché ha aiutato gli Indios della parte peruviana a diventare piccoli proprietari. Da proprietari hanno potuto per prima cosa custodire quella terra, e poi rilanciare il sistema economico, da cui loro praticamente erano esclusi. Non da ultimo, rappresenta un esempio oltremodo virtuoso perché con le sue bucce, attraverso una centrale in Bolivia, vicino a Cobija, riesce a generare energia elettrica che alimenta l'intera fabbrica e anche una parte di questa cittadina. Tutto ciò mi ha colpito molto e ho voluto indagare questo frutto a 360 gradi sia nella parte peruviana, nella estesissima regione di Puerto Maldonado, che nella regione del Pando in Bolivia.

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Pino Ninfa all'inaurgurazione della mostra "Amazzonia. Una storia da raccontare"

Un'altra parte di questo lavoro invece è dedicata alla biodiversità, cioè alla possibilità che gli alberi da frutto e gli alberi da legno possano convivere. Uno dei grandissimi problemi in Amazzonia è la deforestazione selvaggia che le multinazionali attuano per trasformare i terreni in coltivabili, e lo fanno attraverso gli incendi. Solamente che questo suolo non ha la forza di essere trasformato, nel senso che dà ortaggi e frutti per un periodo molto breve, mediamente due anni. Quindi poi si deve bruciare altra foresta. Ma grazie a un'azione virtuosa di divulgazione messa in atto da scienziati insieme ad alcune O.N.G. con operatori sul campo, si porta a conoscenza una parte della popolazione che abita la foresta - in particolare io ho documentato quella del Parco del Manu - della possibilità dell'uso sostenibile della terra da parte degli indios, aiutandoli anche a mettere in pratica queste informazioni, questo sistema.

La mostra è legata a un progetto sull'acqua del Comune di Rovereto finanziato dall'Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, e nelle sue fotografie l'elemento acqua è quasi un filo rosso

Lo è, inevitabilmente. Il fiume è un trait d'union, perché la foresta ha un corso d'acqua imponente come il Rio delle Amazzoni che ha affluenti a loro volta imponenti. Per dare un'idea, l'affluente dell'affluente, dell'affluente, dell'affluente è tre volte più grande del nostro Po. L'acqua è un elemento fondamentale, ed è anche quello che permette di poter attraversare la foresta. Anzi, spesso è l'unico elemento che consente di poter andare da un punto all'altro. 

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Amazzonia Xixuau rid, Ⓒ Pino Ninfa

Se si immagina che Manaus, la capitale brasiliana dello Stato di Amazonas, non può essere raggiunta via terra ma solo con l'aereo o via fiume, ci si fa già un'idea. E stiamo parlando di una città con milioni di abitanti. Da questa città io mi sono mosso per andare nella riserva di Xixuau, un luogo interessante che fa da confine con il popolo degli Jauaperi, che non vogliono avere contatti con l'uomo bianco. Quindi sulla riva dalla parte della riserva si può andare - io ho portato anche alcuni aiuti - mentre sulla sponda opposta è assolutamente vietato, e gli stessi indios hanno un sistema di difesa molto efficace, con uomini armati mandati dallo stato. Quando queste persone sono costrette a spostarsi dalla riserva a Manaus - dalle 40 alle 60/70 ore di viaggio via fiume - quando arrivano non sono accettate né dalla città né dallo Stato. E quindi finiscono per essere un "popolo invisibile", nel senso che non hanno diritti, non hanno niente, non conservano nemmeno il loro nome e sono confinate a vivere nelle favelas. Questa cosa mi ha assolutamente colpito, quello che noi chiamiamo "progresso" genera anche queste situazioni. C'è un forte parallelismo con i problemi dei nostri migranti. Il fiume è un elemento che fisicamente collega, però anche divide. Il fiume da una parte regala a queste persone la ricchezza spirituale e ambientale, le fa essere uomini e donne con un valore, uno spessore, che però perdono improvvisamente quando, attraverso quello stesso fiume, arrivano in città.

La fotografia aiuta a esplorare anche questi aspetti sociali?

Sono molto interessato al lavoro antropologico e culturale che si può fare con la fotografia. Le immagini in mostra fanno anche parte di performance legate alla spiritualità della foresta, alla spiritualità che c'è nel mondo, che porto nelle scuole per sensibilizzare i più giovani.

La mostra rientra nell'ambito del progetto ACQUA - CodiceAID 012618/01/7 - finanziato dall'Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. 

Immagine di copertina: Amazzonia rid, Ⓒ Pino Ninfa

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a cura di Claudia Beretta, Ufficio Stampa Fondazione MCR

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